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Giovedì 22 giugno ricomincia l’ESTATE IN GIARDINO A SPAZIO GERRA con una serata – happening dedicata alla Summer of Love, per celebrarne il 50 anniversario

19 Giu

ECHOES FROM THE SUMMER OF LOVE | happening night
Giovedì 22 giugno ricomincia l’ESTATE IN GIARDINO A SPAZIO GERRA con una serata – happening dedicata alla Summer of Love, per celebrarne il 50 anniversario.

Dance! “Hippie Hill” ~ Golden Gate Park, San Francisco
1969
ph. Robert Altman
GIOVEDI 22 GIUGNO – 21.30

ECHOES FROM THE SUMMER OF LOVE | Happening

– INGRESSO LIBERO –

✿ Talk di approfondimento con Luciano Guidetti, curatore di Beat2Bit, e Dianella Bardelli, autrice del libro “Il bardo psichedelico di Neal”. Presenta: Mirko Colombo di K-Rock Radiostation

✿ Interventi musicali dal vivo di Elia Baioni + Leonardo Bandini Montecchini

✿ Psychedelic Shack con Alfredo Miti Maturani

✿ Selezione Musicale: Mirko Colombo

✿ Visual: Ombrablu

✿✿✿ in chiusura BATTAGLIA DI BOLLE DI SAPONE! ✿✿✿

La Serata è organizzata in collaborazione con Il pozzo ristorante enoteca

Per l’occasione sarà aperta anche la mostra “Community Era – Echoes from the Summer of Love”

-> L’evento è organizzato nell’ambito di Restate2017, in collaborazione conComune di Reggio nell’Emilia e Palazzo Magnani <-

Per informazioni: spaziogerra@comune.re.it
0522 585654

Un bellissimo documentario degli anni ’60 sulla scuola di scrittura di Boulder dedicata a Jack Kerouac

24 Feb

 

 

 

Contiene testimonianze dirette dei protagonisti della beat Generation; è presente anche Timothy Leary che dice cose stravaganti ma di grande interesse. Ci sono filmati dell’epoca davvero inediti sulla scuola di scrittura di Boulder dedicata a Jack Kerouac. Vi compaiono Ginsberg, naturalmente, ma anche Corso, Orlovsky, Waldman, Burroughs, gli studenti che la frequentano. Ci sono letture di poesie in mezzo alla strada, piccole manifestazioni contro la guerra interrotte da poliziotti che hanno la stessa età degli studenti e tutto sommato si comportano in modo gentile, li invitano a spostarsi dal centro della strada o li spostano di peso ma con maniere non violente.
Un mondo a parte quello beat-psichedelico-hippy nelle sue manifestazioni più spontanee, prima che il mercato se ne impossessasse.
Alla scuola di scrittura le lezioni avvengono in luoghi informali, tipo soggiorni con sedie e poltrone sparse qua e là. Gli insegnanti parlano come viene loro di fare lì per lì, in modo del tutto spontaneo, improvvisato, stanno in mezzo agli studenti, non c’è separazione tra gli uni e gli altri. Magnifico, teatrale, Ginsberg quando legge le sue poesie accompagnato dall’harmonium che suona anche bene. Burroughs, come dice Ginsberg nel commento al documentario sembra uno della CIA dai modi di fare calmi e prudenti. Adorante la sempre presente Fernanda Pivano che ascolta scegliendo un angolo della stanza in cui rifugiarsi dalla luce accecante di tanta genialità raccolta tutta insieme davanti a lei.

Allen Ginsberg su Bob Dylan

18 Nov

 

“Si può fare arte con un Juke-box? Bene, Dylan ha dimostrato che è
possibile” (Allen Ginsberg, 1968)

Il metodo di lavoro di Allen Ginsberg

7 Lug

In molti casi il metodo di lavoro di Allen Ginsberg era quello di utilizzare parti del suo diario per scrivere poesie in un secondo momento. Erano frammenti in prosa da trasformare in seguito in poesie. “Registrava i particolari, i dettagli, via via che li notava: una forma letteraria poteva benissimo essere data in un secondo momento”, da ” Bill, Morgan, Io celebro me stesso, la vita quasi privata di Allen Ginsberg, pag. 349.

L’improvvisazione di scrittura è lo stile della mente

13 Dic

Nella letteratura italiana  c’è l’impero della tradizione. Molti pensano che nella poesia non si siano fatti passi avanti dopo Dante e Petrarca. Secondo loro il poeta è colui che lima i suoi versi, cioè li abbellisce. Questo avviene perché in Italia non si sa improvvisare. Si pensa che in poesia improvvisare non si possa fare. Magari in teatro sì, in poesia no. Quelli che pensano così non sanno che l’improvvisazione poetica è uno stile, fa parte di un canone un bel pò successivo a Dante e Petrarca. Fu inaugurato da Jack Kerouac e Allen Ginsberg negli USA a partire dalla metà degli anni ’40. Jack per primo capì che l’improvvisazione di scrittura è lo stile della mente. E’ il ritmo della mente. Sì, perché l’unione di cuore e pensiero ( la cosiddetta ispirazione ) produce in poesia ( ma anche in prosa ) un ritmo determinato, un andamento molto determinato ma spontaneo, che in qualto tale non si può correggere. Oppure lo si può fare in minima misura e non per abbellire, confezionare meglio il prodotto.

Mie riflessioni su “Stavolta veloce: Jack Kerouac e la composizione di Sulla Strada”, di Howard Cunnell

4 Gen

La mia passione per Jack Kerouac si è rafforzata ed è diventata ancor più consapevolezza della sua genialità, leggendo il saggio di Howard Cunnell, “Stavolta veloce: Jack Kerouac e la composizione di Sulla Strada” che appare come introduzione in Jack Kerouac/On the road – il rotolo del 1951. Il questo saggio Howard Cunnell dice una cosa importantissima: ” Assai più che una guida per hipsters Sulla strada è una ricerca spirituale”. Ecco la differenza tra chi Kerouac lo ha capito davvero e chi è rimasto sulla superficie della semplice retorica del viaggio. E Cunnell aggiunge: “Sono gli anni in cui Kerouac si trasforma da giovane romanziere promettente nel più grande scrittore sperimentale della sua generazione…On the road è il fiore di campo da cui crescerà il giardino magico di Visione di Cody”.
A volte mi domando perché Kerouac sia così poco compreso e quindi poco apprezzato in Italia. Forse perché da noi si confonde spiritualità con religione? Oppure si pensa che chi è alla ricerca spirituale del senso della vita debba essere per forza una persona moralmente “retta”, cioè conforme alla comune e convenzionale morale? Forse è questa la ragione. Eppure Kerouac lo era convenzionale, nel senso dell’avere dei valori morali,era attaccato alla famiglia, amava il suo paese, apparteneva ad una religione ( cattolica, con un intermezzo buddista ). Ma questi aspetti in Italia non vengono presi in esame a favore di quelli più apparentemente trasgressivi, e quindi più appetibili da parte del pubblico. Invece Cunnell in questo saggio ribadisce più volte quanto i viaggi raccontati in On the road, siano da una parte viaggi spirituali, e dall’altra il racconto di un’amicizia. Amicizia tra due uomini, Jack Kerouac stesso e Neal Cassady. Un’amicizia così forte da scriverci sopra due romanzi e ritornarne a parlare in altri non specificatamente dedicati a Neal.
In questo saggio di Howard Cunnell a questo proposito viene sottolineato il debito di Kerouac nei suoi confronti, perché Kerouac imparò a scrivere come solo lui seppe fare, proprio da Neal, nella sua famosa “Joan letter”, ritrovata recentemente in una scatola dimenticata di una casa editrice che non esiste più. E anche su questo ritrovamento sarebbe bello scrivere qualcosa, forse un racconto, forse una poesia o un vero e proprio poema. Una lettera questa senza la quale non ci sarebbe stata l’invenzione di uno stile e che stile. Una lettera che per caso ( così si era sempre saputo prima del suo ritrovamento) cadde nelle acque di Sausalito e che invece viene retrovata sessant’anni dopo in una vecchia scatola di documenti dimenticati e che sarà il costoso trofeo di un qualche collezionista.
Nel saggio di Cunnell a proposito della Joan letter e dell’entusiasmo che suscitò sia in Kerouac che in Ginsberg, viene citato un brano di una lettera scritta da Cassady a quest’ultimo nel 1951: ” Il folle polverone che voi due ragazzi avete sollevato sulla mia Grande Lettera mi manda in sollucchero, ma sappiamo tutti che io sono soltanto un soffio e un sogno”. Che meraviglioso, poetico e preciso modo di definire se stesso: io sono soltanto un soffio ( respiro) e un sogno (illusione).
“Voi due ragazzi”, Kerouac e Ginsberg + Cassady: una storia letteraria sì, ma anche una grande storia d’amore. Stavo per scrivere, autocensurandomi, di amicizia, ma fu proprio amore. Carnale o non carnale non ga nessuna importanza. E’ che loro tre si amavano, e si ammiravano e si stimavano. E quando il primo a morire fu Neal Cassady gli altri due ne rimasero scioccati e increduli. Come se avessero loro annunciato la morte di un mito. Perché i miti in quanto tali non nascono e non muoiono, ma vivono in eterno.
Il saggio di Cunnell si sofferma a lungo sullo stile della prosa spontanea che Kerouac trovò nella Joan letter e sull’uso che ne fece nelle sue opere. Quella lettera gli regalò una voce interiore che racconta spontaneamente la sua storia, le sue storie e quelle di Neal. Questo stile è tutt’uno con la velocità di scrittura di Kerouac alla macchina da scrivere. ( e anche qui mi viene in mente che deve esserci una differenza in ciò che si scrive a seconda se si fa utilizzando una macchina da scrivere o un computer, senza contare la differenza che c’è tra le due modalità e lo scrivere a mano, e anche qui se ne potrebbe fare un racconto, una poesia, un poema…). Anche se Kerouac era bravo a battere sui tasti, era così veloce nel farlo da compiere degli errori, ma questi spesso non venivano corretti ma trasformati in altre possibili soluzioni di scrittura. E nel fare questo “si divertiva un mondo”, dice Cunnell citando Philip Whalen. Sui tasti di quella macchina da scrivere nacque quello che nel saggio viene definito, citando Ginsberg, ” il discorso di cuore” di Kerouac. E aggiunge: ” Gli interrogativi che si pone sono hli stessi che ci tengono svegli la notte e scandiscono i nostri giorni. Che cos’è la vita? Cosa significa essere vivi mentre la morte, lo straniero velato, è alle nostre calcagne? Dio ci mostrerà mai il suo volto? Potrà la gioia togliere di mezzo le tenebre? Una ricerca interiore, crto. Ma le lezioni della strada, l’imprevedibile magia della terra americana descritta come un poema, servono ad illuminare e ampliare il viaggio spirituale. Kerouac scrive per essere compreso; la strada è la traiettoria della vita e la vita è una strada”.
L’ultima parte di questo saggio è dedicata alle varie stesure e revisioni di Sulla strada e alle sue fortune e sfortune editoriali. Il primo aspetto ha lo scopo di documentare quanto falsa sia la leggenda che vuole che Sulla strada sia stata scritta di getto in poche settimane, quando invece fu preceduta da anni di appunti, scritture di capitoli e di trame via via cambiate fino al “rotolo del 1951″, il secondo ci mostra quanto fosse difficile allora come oggi emergere nel mondo editoriale per uno scrittore sconosciuto e volutamente marginale e rivoluzionario nello stile come Kerouac.

Grazie Howard Cunnell per la meticolosità di questo saggio e per la passione che traspare da ogni riga e parola.

 

Il potenziale delle cose

2 Dic

Il potenziale delle cose non sono le cose
il potenziale delle cose
è farle lievitare
una storia
più storie
un personaggio appena pensato
sentito nel cuore
nella pancia –
un personaggio
come fosse una persona vera –
quasi tutte le persone vere
che mi interessano sono morte –
parlo di letteratura
naturalmente –
ma in fin dei conti anche di vita
non farsi condizionare
ad esempio
saper/voler essere anticonvenzionali
ci sono modelli
esempi
per me sono Kerouac e Ginsberg
e il loro maestro non scrittore
Neal Cassady

La lettera ritrovata – quella che Neal Cassady scrisse a Kerouac e che diede a Kerouac l’impulso a scrivere come poi avrebbe scritto tutti i suoi capolavori, e che si pensava fosse andata perduta –

28 Nov

Neal è l’inizio ( di tutto ) – e anche la fine ( di tutto ) – in mezzo la lettera di 16000 parole scritta a Jack Kerouac nel 1950 senza pensare, senza correggere, così di getto. “Quella lettera” senza la quale nè Kerouac nè Ginsberg sarebbero esistiti come scrittori, perché Jack non avrebbe imparato a scrivere da Neal e Ginsberg non lo avrebbe imparato da Kerouac. Eppure Neal non era uno scrittore e non lo ha mai voluto essere. Lui non aveva tempo da perdere seduto ad un tavolo a macinare parole, lui doveva vivere, in fretta, di corsa, di furia rabbiosa.
Ora quella lettera è stata ritrovata. Si pensava perduta, in tutte le biografie di Kerouac e Ginsberg si diceva che era andata perduta e che era un vero peccato. Perché tutto è cominciato da lì, dalla lettera di Neal, l’inizio della beat generation fu quella lettera; perché la beat generation non fu un movimento di costume, fu una grande epopea letteraria, come dopo non se ne sono più viste.
Dicevo, si pensava fosse andata perduta, caduta nell’acqua, per sbaglio, per distrazione di Gert Stern che viveva su una chiatta a Sausalito. Lui l’aveva ricevuta in prestito da Allen Ginsberg che a sua volta l’aveva ricevuta in prestito da Jack Kerouac, a cui era stata scritta da Neal Cassady. Quello che si era sempre saputo, prima del suo ritrovamento, era che Gert Stern l’avesse appunto  perduta per incuria o distrazione. Keroauc se ne rammaricò con Ginsberg. In fin dei conti quella lettera era sua e da lei gli era venuta l’intuizione di cambiare lo stile della propria prosa in quella che avrebbe inagurato con On the road. La lettera è sempre stata conoscita come ” The Joan Letter”. In questa lettera, si legge nella biografia di Allen Ginsberg scritta da Bill Morgan, viene raccontata la storia d’amore di Neal Cassady con una donna di nome Joan Anderson. Neal ci aveva messo diversi giorni a scriverla, tra il 17 e il 22 Dicembre del 1950.
In realtà ora si scopre che Ginsberg aveva spedito la lettera alla casa editrice Golden Goose Press di San Francisco per farla pubblicare. Da un articolo scritto in questi giorni da Jerry Cimino su http://www.kerouac.com
( http://www.kerouac.com/blog/2014/11/neal-cassadys-joan-anderson-letter-found/ ) veniamo a sapere che Gert Sterner gli ha personalmente detto anni fa di non aver perso quella lettera ma di averla restituita a Ginsberg; ” He vehemently denied he lost the Joan Anderson letter and said Ginsberg actually recanted that claim before he died in 1997. Gerd told me, “I gave that letter back to Ginsberg. I didn’t lose that letter – Allen did.”
La lettera è stata ritrovata del tutto casualmente. Nel 1955 il proprietario della Golden Goose Press Richard Wirtz Emerson chiuse la casa editrice; ma siccome divideva l’ufficio con un impresario musicale, quest’ultimo decise di mettere diversi documenti della Golden Goose Press in vari scatoloni, dove sono rimansti per 60 anni. Quando l’impresario è morto la figlia Jean Spinosa è andata a guardare cosa ci fosse dentro quegli scatoloni e ci ha trovato la famosa “The Joan Letter”. Il 17 Dicembre sarà messa all’asta dalla casa d’aste della California meridionale Profiles in History.
Ovviamente noi lettori, noi appassionati di ogni singola parola, virgola e respiro di Jack Kerouac, speriamo di poterla almeno leggere. E ci uniamo a Gerry Cimino nel dire: “My most fervent hope is it will be purchased by someone who has a love of Neal & Jack and the other Beats and it will eventually be published in book form and also made available for viewing by the public. The world deserves to see this manuscript. It is historic in a general context, and in the world of the Beats it is beyond historic. It really is The Holy Grail of The Beat Generation in the sense of its significance – the fact it was lost for so many years and the legend and lore and myth that grew up around it in the 60 years it’s been missing only adds to the allure”.

Qualche riflession su Kaddish di Allen Ginsberg

5 Ott

Una cosa che ha saputo fare Allen Ginsberg è tenere insieme le sue varie anime. Quella ebraica, quella buddista, quella omosessuale, quella beat, quella ambiziosa, quella generosa. Tanto per dirne alcune. Non è una cosa facile. Molti ci perdono la testa. Si perdono. Ginsberg invece ci è riuscito. Come? Accettando le contraddizioni della vita, della sua vita. E rimanendo per tutta la sua esistenza un ricercatore spirituale, prima, molto prima che un poeta. Ma le due cose in lui, come in tutta la letteratura beat, non sono scindibili. Ed è per questo che in Italia gli scrittori beat non sono sempre compresi. Perché senza la loro ricerca spirituale non c’è la loro letteratura. Perché Snyder e Koller scrivano di coyote e falchi, ad esempio, non si capisce senza la loro storia spirituale.
Kaddish rientra in questa capacità di Ginsberg di tenere dentro di sé tutta la gamma delle sue identità. Ma nonostante questo solo tre anni dopo la morte di sua madre egli riuscì a prendere in mano il suo dolore e scriverlo.
Per buona parte della sua vita Noemi Ginsberg è vissuta in un ospedale psichiatrico, preda di una pazzia senza requie e senza rimedio. Ginsberg non si perdonava di averla far chiudere in un ospedale e quando lei morì era affranto da pesanti sensi di colpa. Ecco perché ha dovuto aspettare di far pace con se stesso per poter scrivere della morte di Naomi. Kaddish è il nome di un canto ebraico che si recita nei riti funebri. E il poema di Ginsberg è in effetti il rito funebre di un figlio per la madre. Un rito, non una preghiera, leggendolo si ha la netta sensazione che scrivere questo poema è stato officiare da parte di Ginsberg un lungo rito funebre pieno di parole. Le parole di questo rito-poema, compongono una storia, una biografia, quella di Naomi Ginsberg.
Nella prima parte Ginsberg parte da se stesso, da come si sente dopo aver scritto questo poema. “Una foglia vizza all’alba” in un cielo “ che è un vecchio posto blu”. Ma subito dopo comincia la storia vera e propria della follia di Naomi che lui a soli 12 anni accompagna in una casa di cura. Per Naomi comincia la lunga serie di ricoveri e ritorni a casa. “ Non avere paura di me”, dice un giorno ad Allen, “solo perché torno a casa dal manicomio”. Lei pensava di avere fili nella testa e tre lunghi bastoni nella schiena, e per tutta la sua vita fu convinta che tutti fossero spie di Hitler, anche i suoi figli, anche suo marito. La parte centrale del poema è dunque tutta dedicata alla storia della pazzia di Naomi, ha il tono del dramma, il dramma di una malattia che sconvolge la vita a chi la subisce e a chi gli sta intorno. L’ultima parte invece è un vero e proprio grido di dolore. Il rimpianto dei suoi occhi, ad esempio: “coi tuoi occhi di Russia…/ coi tuoi occhi pieni di fiori”

Qualche riflessione su Kaddish di Allen Ginsberg

25 Ott

Una cosa che ha saputo fare Allen Ginsberg è tenere insieme le sue varie anime. Quella ebraica, quella buddista, quella omosessuale, quella beat, quella ambiziosa, quella generosa. Tanto per dirne alcune. Non è una cosa facile. Molti ci perdono la testa. Si perdono. Ginsberg invece ci è riuscito. Come? Accettando le contraddizioni della vita, della sua vita. E rimanendo per tutta la sua esistenza un ricercatore spirituale, prima, molto prima che un poeta. Ma le due cose in lui, come in tutta la letteratura beat, non sono scindibili. Ed è per questo che in Italia gli scrittori beat non sono sempre compresi. Perché senza la loro ricerca spirituale non c’è la loro letteratura. Perché Snyder e Koller scrivano di coyote e falchi, ad esempio, non si capisce senza la loro storia spirituale.
Kaddish rientra in questa capacità di Ginsberg di tenere dentro di sé tutta la gamma delle sue identità. Ma nonostante questo solo tre anni dopo la morte di sua madre egli riuscì a prendere in mano il suo dolore e scriverlo.
Per buona parte della sua vita Noemi Ginsberg è vissuta in un ospedale psichiatrico, preda di una pazzia senza requie e senza rimedio. Ginsberg non si perdonava di averla far chiudere in un ospedale e quando lei morì era affranto da pesanti sensi di colpa. Ecco perché ha dovuto aspettare di far pace con se stesso per poter scrivere della morte di Naomi. Kaddish è il nome di un canto ebraico che si recita nei riti funebri. E il poema di Ginsberg è in effetti il rito funebre di un figlio per la madre. Un rito, non una preghiera, leggendolo si ha la netta sensazione che scrivere questo poema è stato officiare da parte di Ginsberg un lungo rito funebre pieno di parole. Le parole di questo rito-poema, compongono una storia, una biografia, quella di Naomi Ginsberg.
Nella prima parte Ginsberg parte da se stesso, da come si sente dopo aver scritto questo poema. “Una foglia vizza all’alba” in un cielo “ che è un vecchio posto blu”. Ma subito dopo comincia la storia vera e propria della follia di Naomi che lui a soli 12 anni accompagna in una casa di cura. Per Naomi comincia la lunga serie di ricoveri e ritorni a casa. “ Non avere paura di me”, dice un giorno ad Allen, “solo perché torno a casa dal manicomio”. Lei pensava di avere fili nella testa e tre lunghi bastoni nella schiena, e per tutta la sua vita fu convinta che tutti fossero spie di Hitler, anche i suoi figli, anche suo marito. La parte centrale del poema è dunque tutta dedicata alla storia della pazzia di Naomi, ha il tono del dramma, il dramma di una malattia che sconvolge la vita a chi la subisce e a chi gli sta intorno. L’ultima parte invece è un vero e proprio grido di dolore. Il rimpianto dei suoi occhi, ad esempio: “coi tuoi occhi di Russia…/ coi tuoi occhi pieni di fiori”

 

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