C’è una pianta piccola di violette –
non ci sono ancora fiori
ma ci saranno –
qualche foglia secca
che non si stacca la lascio
cadrà da sola-
la terra è abbastanza umida
non ha bisogno d’acqua
solo di un aggiustatina della terra –
con le dita la livello
tutta intorno
non sarebbe necessario
ma lo faccio
perché mi piace
Come mi vedo
27 GenDurante la cerimonia in Campidoglio per giorno della memoria 2020 è stata letta questa poesia di Anna Segre : Figlia di mia madre…
27 GenFiglia di mia madre,
stessi occhi, stesse rughe d’espressione ai lati della bocca.
Lei, con qual veleno silenzioso,
quella termite instancabile nei sogni,
quella memoria automatica all’improvviso nel battito cardiaco,
quel demone sfocato dentro.
Lei, mia madre, con Auschwitz ancora nei neuroni della retina,
più forte di un herpes, più lungo della morte.
E io, ignara, bambina, che le trotterellavo dietro nella disciplina che credevo sua
E adesso so dove l’ha imparata, nell’angoscia degli odori
Adesso so dove l’ha contratta,
nell’irraccontabile che ha occupato la nostra casa per intero,
anche la cucina,
anche le pieghe delle lenzuola,
nell’indicibile che ha sfidato il suo italiano elementare.
Io, che non ho capito o non ho voluto capire
fino a dopo il mio stesso matrimonio.
Lei credeva di proteggermi nel tacermi la verità.
Io non volevo ferirla con domande
E ad ogni domanda mi pareva di brandire un coltello
E di minacciarla con la mia curiosità inopportuna.
Auschwitz nel suo sangue, nel cordone ombelicale,
tra la mia pancia e il suo utero, nei cromosomi,
è la mutazione che ti scianca,
la malattia che ha azzoppato me e le mie sorelle.
Auschwitz, presente indicativo, ancora.
Possono i figli di chi è sopravvissuto parlare dell’esperienza dei genitori?
Non oserebbero certo la prima persona singolare,
anche se hanno respirato, non sapendolo,
il fumo dei forni durante la loro infanzia,
l’impotenza,
l’umiliazione,
la perdita, il terrore
l’odio la morte
ammucchiati indistricabili.
La distruzione dell’anima di mia madre, ho respirato, senza rendermene conto,
e sono ancora qui che balbetto parole che non dicono.
Auschwitz è più lungo della morte, è il filo nero nella tela della nostra vita.
Non è bastato distogliere l’attenzione,
non è servito far come e se tutto fosse normale,
non ha funzionato non saperne nulla.
Mio malgrado, come un’ombra nell’inconscio,
Auschwitz rilascia morte e ancora morte,
anche dopo la morte della mamma.
Poesia di Anna Segre tratta da da https://www.benecomune.net/rivista/rubriche/opere/segre-e-di-segni-fatina-sed-e-londa-lunga-di-auschwitz/
Adorare qualcuno è rapinarlo
20 GenLei non portava slip
sotto i jeans non li portava –
era più sexy quando si spogliava per qualcuno –
più sexy con i jeans ma senza slip –
era bella lei
e carismatica
tutti cadevano ai suoi piedi
uomini e donne
e poi era molto ricca
e la sua grande casa sotto i tetti
era sempre piena di gente
che andava e veniva
mangiava e beveva
mentre lei nel suo immenso divano
riceveva tutti quelli
che la cercavano
la volevano
la adoravano –
adorare qualcuno
è rapinarlo
Ascoltando Peter Gabriel in “Fourteen black paintings”
16 Gen
Sembra che il suono arrivi da lontano
dalla cima di una montagna –
dice: sono lontano sulla cima di questa montagna –
poi arrivano altri
camminano su questo ghiaccio-neve
per raggiungerlo –
sono bagnati fradici
e poi a bocca aperta respirano
LA CAPPELLA ROTHKO
14 GenCappella nera non c’è compiacimento non c’è vista udito odorato, non c’è bellezza consolazione buoni sentimenti c’è un’immagine nera o vuota che è la stessa cosa, nera o vuota nera e vuota. Trinità come una divinità davvero una divinità reale una divinità di natale da amare proprio ora proprio ora. Trinità finalmente rimasta sola invisibile come è sempre quando non è natale. Una panca per il viandante solo, sconsolato, disperato ma che ancora cerca spera anela vuole. Di fronte quello che vede sempre niente di ammirevole consolante niente di visibile reale immaginato. Niente sembianza che nasconda solo questo nero blu luminoso da guardare per vedere per vedersi non sono porte non danno accesso non portano da qualche parte non celano il divino non sono il tabernacolo ma sono tre. il pavimento rosa è una nuvola su cui galleggiamo tutti pericolosamente ma anche tranquillamente un’ombra sola il resto è luce.
N.B non posso riprodurre la fotografia della Cappella Rothko qui per via del copyright, ma la potete vedere qui:
https://lnkd.in/dqpKzZq)
Peter Gabriel compose questo brano ispirandosi alla Cappella Rothko, dal titolo “Fourteen Black Paintings”
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